Sant'Antonio di Padova

Il Santo nasce a Lisbona (Portogallo) nel 1195 da una nobile famiglia. Viene chiamato Fernando (As. 2,3). Nel 1210 entra nell’Ordine dei Canonici Regolari di S. Agostino presso il convento della sua città nativa. Temendo che le visite dei parenti e degli amici lo distraessero dai suoi compiti, chiede e ottiene il trasferimento dal monastero di Lisbona a quello di Coimbra (As. 2-3), ove fu ordinato Sacerdote probabilmente nel 1219.

A Coimbra, ove c’era un convento di Frati Minori, avviene nel 1220 la traslazione di cinque frati Francescani, martirizzati nel Marocco. Le reliquie dei martiri suscitano in lui il desiderio del martirio. Per questo, entra nell’Ordine Francescano.

Gli viene imposto il nuovo nome di Antonio, in onore di Sant’Antonio Abate, al quale era dedicata la residenza francescana di quella città (As. 5). Parte missionario per il Marocco; dopo alcuni mesi di soggiorno in terra africana una grave malattia lo costringe a ritornare in patria. Sulla via di ritorno la nave a causa di una grande tempesta è sbattuta sulle coste della Sicilia; ristabilitosi in salute, nel maggio del 1221 raggiunge Assisi per partecipare al famoso “Capitolo delle stuoie” dei Frati Francescani e incontra S. Francesco (As. 6), il quale più tardi gli scriverà questa breve lettera perché era titubante ad insegnare teologia: «Al mio carissimo fratello Antonio, il fratello Francesco. Approvo che tu insegni sacra teologia ai frati, purché, a motivo di questo studio, essi non spengano lo spirito di preghiera e di devozione, come sta scritto nella Regola. Stammi bene» (Lm. 18,1). Dopo l’incontro con S. Francesco, nel 1222 trascorre un breve periodo di contemplazione presso l’eremo di Montepaolo, vicino a Forlì (As. 7,5).

In occasione di un discorso improvvisato per un’ordinazione sacerdotale a Forlì rivelò la sua la sua profonda spiritualità e la sua straordinaria cultura biblica (As. 7-8). Per questo, riceve l’incarico di predicatore (As.11,2). Predicò con successo contro le eresie dei Catari e degli Albigesi nell’Italia del Nord e nel Sud della Francia, guadagnandosi il titolo di “Martello degli eretici” (Ben. 16,4). Riscosse grande successo ovunque e presso ogni ceto sociale (As. 13); anche il Papa e la Curia Romana «l’ascoltarono con devozione ardentissima» (As. 10,1; Fioretti, 39). Si distingueva per il suo equilibrio e per la sua discrezione (Ben. 17,50). Frutto della sua predicazione e del suo insegnamento sono i suoi numerosi Sermoni (As. 11,3-4).

Il 17 marzo 1231, quasi al termine della famosa quaresima quotidiana (una novità per quei tempi) che aveva affascinato tutto il popolo, tanto che fu necessario ricorrere a un gruppo di “guardie del corpo” per difenderlo (As. 13,10, Pol. 42), ottenne dal Podestà di Padova e dal suo Consiglio che la pena del carcere per i debitori insolventi fosse solo il pignoramento dei beni. Come documentano gli Statuti del Comune di Padova, il notaio premise alla nuova legge l’annotazione: «Per richiesta del venerabile frate Antonio, confessore dell’Ordine dei Frati Minori» (n. 551).

Una sua antica biografia così sintetizza il suo impegno per i diritti umani: «Riconduceva a pace fraterna i discordi; ridava libertà ai detenuti; faceva restituire ciò che era stato rapito con l’usura o la violenza; si giunse a tanto che, ipotecate case e terreni, se ne poneva il prezzo ai piedi del Santo, e su consiglio di lui quanto con le buone o con le cattive era stato tolto, veniva restituito ai derubati. Liberava le prostitute dal turpe mercato, e ladri famosi per misfatti tratteneva dal mettere le unghie sulle cose altrui» (As.13, 11).

Nel maggio del 1231 per ritemprarsi nel corpo e nello spirito si trasferì a Camposampiero, a venti chilometri da Padova. Nel bosco del conte Tiso VI, convertito dalla predicazione del Santo, sorgeva un noce poderoso. «L’uomo di Dio, avendone un giorno ammirata la bellezza, tosto, su indicazione dello Spirito, decise di farsi una cella sopra il noce, perché il luogo offriva impensata solitudine e quiete favorevole alla contemplazione. Il nobiluomo, appena venne a conoscere quel desiderio per mezzo dei frati, dopo aver riunito in quadrato e trasversalmente ai rami delle pertiche, preparò con le sue mani una cella di stuoie. [...] Questa fu l’ultima dimora in mezzo ai mortali; salendo lassù, egli mostrava di avvicinarsi al cielo» (As. 15). Da qui il Santo scendeva solo per predicare e confessare.

Era «afflitto da una certa corpulenza naturale e inoltre travagliato da continua infermità» (As. 11,7); la Raymundina (1293) parla di idropisia (10,10). Morì il 13 giugno del 1231, dicendo: «Vedo il mio Signore» (As. 17,12) presso l’Arcella, alle porte della città di Padova; aveva solo 36 anni. Vi fu subito un’aspra contesa tra gli abitanti di Capodiponte che insieme alle Clarisse volevano tenersi, con il ricorso alle armi, “il prezioso tesoro”, e i frati che con il clero e i padovani volevano seppellirlo nella chiesa di Santa Maria, sede della comunità francescana alla quale apparteneva il Santo. Il Vescovo risolse la disputa a favore dei frati (As. 23-24). Sul luogo ove fu sepolto sorge l’attuale basilica che custodisce i suoi resti mortali.

Il 30 maggio del 1232 fu canonizzato a Spoleto da Gregorio IX, che lo aveva incontrato ad Assisi due anni prima, rimanendo conquistato per la sua eloquenza (As. 29), tanto da definirlo “Arca del Testamento” (As. 10,2). Nel 1946 fu dichiarato Dottore della Chiesa con il titolo di “Doctor evangelicus”. La sua festa liturgica ricorre il 13 giugno

Nel 1263 i suoi resti mortali furono trasferiti nella basilica costruita in suo onore. In questa circostanza fu effettuata la prima ricognizione delle reliquie. Sorprendentemente la sua lingua fu trovata intatta, «fresca, rossa e bella, come se il santissimo padre fosse appena morto». San Bonaventura da Bagnoregio, Ministro Generale dell’Ordine Francescano, prendendola tra le sue dita, esclamò: «Lingua benedetta, che sempre benedicesti il Signore e Lo facesti benedire dagli altri, ora appare chiaramente quanto sia stato grande il tuo merito davanti a Dio» (Ben. 21,1-8). Nacque così la devozione alla Lingua di Sant’Antonio, venerata quale  strumento efficacissimo della Parola di Dio che il Santo annunciò con tanto successo. Attualmente è visibile nel bellissimo reliquiario di Giuliano da Firenze (1436) collocato nella Cappella delle reliquie o del Tesoro della basilica. Ogni anno il 15 febbraio, in ricordo di questa traslazione, in basilica si celebra la festa della Lingua.
 
Ostensione
L’ultima ricognizione del corpo del Santo è stata compiu­ta nel 1981, a 750 anni dalla morte. Mentre l’ultima esposizione del suo corpo è avvenuta nel 2010.

Il popolo ha tracciato la personalità di Sant’Antonio nelle litanie, invocandolo come giglio di purità, gloria dell’Ordine francescano, arca del Testamento, santuario di celeste sapienza, noncurante della vanità del mondo, specchio di ubbidienza, gemma di povertà, giglio celeste, esempio di umiltà, tenero amante della Croce, martire di desiderio, fornace di carità, zelatore della giustizia, lucerna che illumina i peccatori, terrore degli infedeli, modello dei perfetti, consolatore degli afflitti, punitore dei peccatori, difensore dell’innocenza, liberatore dei prigionieri, guida dei pellegrini, risanatore degli ammalati, seminatore dei miracoli; come colui che rende la parola ai muti, che dà l’udito ai sordi, che restituisce la vista ai ciechi, che fuga i demoni, che risuscita i morti, che fa ritrovare le cose perdute, che doma il furore dei tiranni, che libera dalle insidie dei demoni, da ogni male dell’anima e del corpo.

Nonostante che i frati nel passato sostituivano il cognome con il paese d’origine, egli non è chiamato con il nome della città ove è nato: “Sant’Antonio da Lisbona”, ma “Sant’Antonio di Padova”, come se appartenesse a questa città, ove ha svolto la parte più significativa del suo ministero (As. 11, 13) e ove è stato sepolto subito dopo la sua morte.