San Francesco d’Assisi

francesco copiaFrancesco, l'apostolo della povertà
Nacque ad Assisi nei primi del 1182. Figlio di mercante, da giovane aspirava a entrare nella cerchia della piccola nobiltà cittadina.Crebbe tra gli agi della sua famiglia. Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad ogni modo conosceva il provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e l'erede dell'attività di famiglia. Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, Francesco era estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle feste.

Combattente e la sua conversione
Con la morte dell'imperatore di Germania Enrico IV e l'elezione a papa del card. Lotario gli scenari politici cambiarono; il nuovo papa prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto compresa Assisi, togliendolo al duca Corrado di Lützen. Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città. Francesco, con lo spirito dell'avventura che l'aveva sempre infiammato, si buttò nella lotta. Dopo la disfatta subita dagli assisiani a Ponte San Giovanni, egli fu fatto prigioniero dai perugini e restò in carcere per un lungo terribile anno; dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco ritornò in famiglia con la salute  compromessa. Egli non era più quello di prima, la sofferenza aveva scavato nel suo animo un'indelebile solco, non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo. Pensò di arruolarsi nella cavalleria che combatteva per il papa ma giunto a Spoleto cadde in preda ad uno strano malessere e la notte ebbe un sogno rivelatore con una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone invece che il servo” e quindi di ritornare ad Assisi. Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città, accolto con preoccupazione dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini.

Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d'intensa meditazione e pietà sentendo crescere dentro di lui il bisogno di servire Cristo senza capire però in quale modo. Fu solo nell'autunno 1205 che Dio gli parlò; era assorto in preghiera nella chiesetta di San Damiano e mentre fissava un crocifisso , udì per tre volte questo invito: “Francesco va' e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”. Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando come riferendosi alla cadente chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue mani e utilizzando parte del denaro paterno. A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso lo denunziò al tribunale del vescovo. Il giovane fu affidato ai benedettini con la speranza che potesse trovare nel monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali; i rapporti con i monaci furono buoni, ma non era quella la sua strada e ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”, girando per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e della Porziuncola.

La vocazione alla povertà e l'inizio della sua missione
Nell'aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. E in qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se ci sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza”. Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri; depose allora i panni del penitente e prese la veste “minoritica”, cingendosi i fianchi con una rude corda e coprendosi il capo con il cappuccio camminando a piedi scalzi. Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà” tanto da essere poi definito “il Poverello di Assisi”, predicando con l'esempio e la parola il Vangelo come i primi apostoli.

Inizio dell'Ordine dei Frati Minori
Ben presto attirati dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco, quelli che sarebbero diventati suoi inseparabili compagni nella nuova vita: Bernardo di Quintavalle un ricco mercante, Pietro Cattani dottore in legge, Egidio contadino e poco dopo anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro ed altri fino al numero di dodici, proprio come gli Apostoli, formanti una specie di 'fraternità' di chierici e laici, che vivevano alla luce di un semplice proposito di ispirazione evangelica. Il loro era un vivere alla lettera il Vangelo, senza preoccupazioni teologiche e senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali, indicando così una nuova vita a chi voleva vivere in carità e povertà all'interno della Chiesa.

Chiara e le clarisse
Tutta Assisi parlava delle 'bizzarie' del giovane Francesco, che viveva in povertà con i compagni laggiù nella pianura fra i fedeli che ascoltavano, c'era la giovanissima Chiara. Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà evangelica e cominciò a contattarlo, inviandogli spesso un poco di denaro. Nella notte seguente la Domenica delle Palme abbandonò di nascosto il suo palazzo e correndo al buio attraverso i campi, giunse fino alla Porziuncola dove chiese a Francesco di dargli quel Dio che lui aveva trovato. Francesco, davanti all'altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga capigliatura (ancora oggi conservata) consacrandola al Signore. Poi l'accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia, per sottrarla all'ira dei parenti. Successivamente Chiara e le compagne che l'avevano raggiunta, si spostò dopo alterne vicende, nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano, dove nel 1215 a 22 anni Chiara fu nominata badessa; Francesco dettò alle “Povere donne recluse di S. Damiano” (il nome 'Clarisse' fu preso dopo la morte di s. Chiara) una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella della stessa santa.
Chiara con le compagne, sarà l'incarnazione al femminile dell'ideale francescano, a cui si assoceranno tante successive Congregazioni di religiose.

L'ideale missionario
Francesco non desiderò solo per sé e i suoi frati, l'evangelizzazione del mondo cristiano deviato dagli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni, come venivano chiamati allora i musulmani. Se in quell'epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello musulmano erano tipicamente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità, vedendo per primo in loro dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi ma offrendolo con amore e se necessario subire anche il martirio.

La seconda Regola
Verso la metà del 1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi frati, cresciuti ormai in numero considerevole, per cui l'originaria breve Regola era diventata insufficiente con la sua rigidità. Il Poverello non aveva inteso fondare conventi ma solo delle 'fraternità', piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando che la felicità non era nel possedere le cose ma nel vivere in perfetta armonia secondo i comandamenti di Dio. Ma la folla di frati ormai sparsi per tutta l'Italia, poneva dei problemi di organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità dell'apostolato in un mondo sempre in evoluzione. In essa si ribadiva la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione tra gl'infedeli e l'equilibrio tra azione e contemplazione; si permetteva ai frati di avere delle Case di formazione per i novizi, si stemperò un poco il concetto di divieto della proprietà.

Il suo Calvario personale
Ormai minato nel fisico per le malattie, per le fatiche, i continui spostamenti e digiuni, Francesco fu costretto a distaccarsi dal mondo e dal governo dell'Ordine, che aveva creato pur non avendone l'intenzione. Dopo le ultime prediche all'inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e dove viveva Chiara e le sue suore. E in questo suggestivo e spirituale luogo di preghiera, egli compose il famoso “Cantico delle Creature”, sublime poesia, ove si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della natura, contemplando sotto ogni creatura l'adorabile presenza di Dio.
I frati visto l'aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all'amata Porziuncola, dove a tarda sera del 3 ottobre 1226, Francesco morì recitando il salmo 141, adagiato sulla nuda terra, aveva circa 45 anni. Le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell'infermeria, a salutare con gioia il santo. Il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX a meno di due anni dalla morte, proclamò santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre, del fratello e altri parenti, cardinali e vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4 ottobre.