Suor Anna

sr Anna 1Con gioia ho accolto l’invito a scrivere questa testimonianza, per dire a tutti che la nostra piccola storia è nelle mani di Dio ed è Lui a guidarla. Dopo un’infanzia e un’adolescenza in una famiglia che mi ha trasmesso i valori cristiani, con tante belle esperienze in parrocchia, avevo tante domande nel cuore: «Signore, cosa vuoi che io faccia? Signore, chi vuoi che io sia?». Domande che restavano senza grandi risposte, ma che a vent’anni, nell’incontro con Madre Elvira, si sono amplificate. Lei mi ha dilatato gli orizzonti, non ho timore a dire che è stata per me come una seconda mamma. In quello che diceva agli incontri a cui partecipavo, in quello che mi diceva quando mi era dato di vederla, sentivo come un’acqua che dissetava la mia ricerca. Ricordo con tantissima gratitudine, in modo indelebile, i dialoghi avuti con lei, le occasioni di confronto, in cui pian piano mi si chiariva sempre più che ero chiamata a dare a Dio tutta la vita, ma non sapevo come e dove. Intanto gli anni passavano, ho studiato e lavorato, ma non trovavo risposta alla grande inquietudine che portavo dentro. Ho conosciuto anche nel frattempo le sorelle della Comunità monastica dove vivo oggi, ma mi dicevo: «No, in monastero mai!». 

Nell’estate del 2004, la Madre, vedendomi sempre inquieta, mi ha lanciato un invito che ha cambiato profondamente la mia vita: «Gioia, vai un anno in Brasile! Però un anno, non di meno, se no non riesci neanche a renderti conto di dove sei». E su questa parola sono partita, sentendo che stavo facendo un investimento per la vita! Ricordo sempre che, scesa a San Paolo, guardando l’aereo mentre l’alba imperversava in un  caldo mattino d’estate, ho sentito forte dentro: «Adesso inizia una vita nuova!». Ed è stato davvero così. La missione mi ha donato tantissimo, tante occasioni per dare la vita, per aprirmi all’amore, per non pensare a me e alle cose su cui mi ingarbugliavo, e ho trovato un senso nuovo a quello che stavo vivendo. Tanto che pensavo di aver trovato il mio posto! Ho trascorso in Brasile cinque anni splendidi, di cui sono sempre molto grata al Signore e alla Comunità. Ho conosciuto molti amici, che ancora oggi hanno tanto spazio nella mia preghiera. Quando sono rientrata in Italia, nella primavera del 2010, convinta di restare qui pochi mesi per rientrare subito, un’altra inquietudine si è fatta spazio nel cuore. Ricordo di aver parlato con Madre Elvira prima di andare a casa un po’ di tempo, di averle “messo fretta” per ripartire e lei, di nuovo: «Gioia, calma! Vediamo cosa vuole il Signore!».

Si sono succeduti mesi “tosti”, in cui mi sono davvero messa in ascolto del Signore, in cui con non poche lacrime gli ho chiesto di fare la Sua e non la mia volontà, in cui tanti timori mi assalivano, ma ho intuito una cosa difficile da spiegare a parole: con la preghiera avrei potuto essere ancora più missionaria, ancora più vicina e di aiuto ai fratelli che tanto amavo. E ho scelto di arrendermi a questo Amore che mi chiamava, sapendo che non avrei tradito quanto avevo ricevuto, non avrei tradito la Comunità, anzi avrei potuto spendere la vita nella preghiera anche per loro. Ed ho trovato nel Monastero di clausura di Pralormo tante sorelle che mi ricordano che in quegli anni avevano pregato per me e per il mio cammino. Quello che vivo nella clausura, giorno dopo giorno, mi radica sempre più in questa vita “dietro le quinte”, che sostiene l’azione missionaria della Chiesa. Il nostro Santo, il Cottolengo, diceva: «La preghiera è il primo e più importante lavoro». Ed è stata per me anche una gioiosa sorpresa scoprire tanti punti comuni fra il Cottolengo e il carisma del Cenacolo, primo fra tutti l’abbandono fiducioso alla Divina Provvidenza. Allora, in questo spirito, auguro a tutti di proseguire nel cammino fiduciosi nell’aiuto di Dio, con la certezza «che pensa più Egli a noi di quanto noi pensiamo a Lui», diceva il nostro Santo.